La nostra capacità di stabilire
relazioni con le persone che incontriamo ogni giorno si è sviluppata a partire
dalla nascita, grazie alla relazione primaria stabilita con i nostri genitori,
in particolare con la madre. Tale relazione era fatta di sguardi, vocalizzi,
smorfie e sorrisi, con la mamma in grado di capire i nostri bisogni e di
riuscire a sintonizzarsi con noi. Ma la cosa importante che ci è stata
insegnata è che tutto quello
che facevamo, come ad esempio piangere e ridere era riconducibile ad uno stato mentale, cioè a un bisogno, a un sentimento, ecc.: “fai così perché sei triste, ora la mamma ti coccola”, “lo so, hai fame” “ma allora sei contento”. Negli anni questo ci ha permesso di acquisire una teoria della mente, sempre più raffinata, che ci consente di capire che anche gli altri si comportano in un certo modo per via dei loro stati mentali, cioè delle loro intenzioni, dei desideri, delle opinioni, ecc.
che facevamo, come ad esempio piangere e ridere era riconducibile ad uno stato mentale, cioè a un bisogno, a un sentimento, ecc.: “fai così perché sei triste, ora la mamma ti coccola”, “lo so, hai fame” “ma allora sei contento”. Negli anni questo ci ha permesso di acquisire una teoria della mente, sempre più raffinata, che ci consente di capire che anche gli altri si comportano in un certo modo per via dei loro stati mentali, cioè delle loro intenzioni, dei desideri, delle opinioni, ecc.
In realtà quello che succede
quando ci relazioniamo con gli altri non è interpretare i comportamenti, come
ci dice la teoria della mente, ma invece consiste nel simulare quello che fa e
che prova l’altro.
La simulazione
avviene a livello del cervello e del corpo: quando vediamo qualcuno provare un’emozione di
disgusto o un forte dolore, noi sperimentiamo la stessa cosa, anche se in forma
minore. Quindi capiamo quello che sente l’altro perché lo stiamo provando anche
noi, e non perché facciamo un ragionamento del tipo: siccome sta piangendo è
triste, siccome è sbiancato in faccia allora ha una sensazione di disgusto. Non
interpretiamo il comportamento, semplicemente lo simuliamo istante per istante
e reagiamo di conseguenza. Le persone con autismo non riescono a fare questa simulazione per capire i comportamenti degli altri, le loro intenzioni. E’ per questo motivo che dobbiamo insegnare loro la teoria della mente, perché possano giungere a capire il perché dei comportamenti degli altri attraverso dei ragionamenti: “mi hanno spiegato che se vedo un bambino piangere è triste e gli si chiede come sta?”
Nessun commento:
Posta un commento