I parametri per assegnare l'insegnante di sostegno

Ai fini dell’assegnazione dell’insegnante di sostegno per i bambini che frequentano la scuola elementare un elemento che viene preso in considerazione il più delle volte è sicuramente il quoziente intellettivo (Q.I.). Si tratta di un numero che si ottiene dalla somministrazione dei test intellettivi, in base alle risposte che fornisce il bambino. Se il quoziente intellettivo è inferiore a 70 siamo nell’ambito di quella che viene definita disabilità intellettiva per cui si ha diritto all'insegnante di sostegno. Se il Q.I., invece è superiore a 70, qualora siano presenti difficoltà di apprendimento i bambini possono ricevere l’etichette di BES o di DSA, che non sono in genere accompagnate dalla certificazione per il sostegno.
I test vanno naturalmente interpretati, nel senso che il clinico che li somministra può effettivamente capire se i punteggi e le prestazioni osservate durante il test sono espressione verosimile del livello intellettivo del bambino. Ad esempio il bambino può essere stanco e allora il test può dare punteggi inferiori alle reali capacità. Oppure se ci basiamo solo sulle prove verbali per un bambino che ha un disturbo del linguaggio possiamo ancora avere punteggi di Q.I. più bassi rispetto alle reali potenzialità del bambino. In questi casi il clinico decide di ripetere i test o di somministrane altri più confacenti alle caratteristiche del bambino. Per avere un conoscenza più completa del bambino non ci basiamo solo sui test, ma anche sulle osservazioni fatte, sulle notizie raccolte e sulle capacità di apprendimento evidenziate nel tempo.
Detto questo è chiaro che basarci solo su un numero ai fini dell’assegnazione dell’insegnante di sostegno e del relativo  numero di ore è veramente riduttivo e non rende “giustizia” all’interesse del bambino.
Ci possono essere anche altri parametri che possiamo considerare, ma in ogni caso, se abbiamo a cuore e a mente ciò che è in gioco, i nostri riferimenti devono essere il bambino, la famiglia, le insegnanti, i terapisti, e non solo le carte e i numeri.




L'etichetta che ci condiziona

Ho conosciuto un ragazzo di 13 anni, di nome F., che ha un disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento. Questa diagnosi è stampata su un foglio, associata a una serie di esami, test e descrizioni del comportamento. In virtù di tale etichetta ha iniziato a fare quelle terapie che vengono in genere consigliate in questi casi.

Siccome lui ha questa diagnosi tutto spinge verso quella strada.

Gli ho chiesto cosa volesse fare e lui mi ha risposto che non voleva frequentare più il centro di riabilitazione, voleva disegnare, giocare e basta.

No, questo non è proprio possibile, c'è una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, c'è sempre qualcuno pronto a indignarsi alla minima difficoltà di F., se lui non è seguito dal centro di riabilitazione. Mica può frequentare la piscina, gli scout e i campi da calcetto. Lui deve fare la riabilitazione. C'è una diagnosi.

Ma quando parlo con lui, la diagnosi io non la vedo proprio.

Ha espresso dei desideri, non può decidere come fanno gli altri ragazzi della sua età. Si, ma c'è il rischio che non venga capito, che venga preso in giro, che si metta nei guai.


Ah, giusto, deve frequentare ancora il Centro di riabilitazione, ma chi lui? o qualcun altro?

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