Ci sono
bambini con un disturbo dello spettro autistico che,
indipendentemente dal tipo di intervento a cui vengono sottoposti,
permangono in uno stato di “chiusura relazionale” maggiore
rispetto ad altri che hanno lo stesso disturbo.
Lo vediamo
dallo sguardo, dalla partecipazione, dall'iniziativa, dalla
spontaneità, dalla rigidità dei comportamenti.
In altri
bambini è possibile invece osservare “maggiori aperture”, cioè
sono più presenti alla relazione.
Per questi
bambini constatiamo che l'apprendimento non richiede un intervento
rigido e strutturato, ma avviene quasi spontaneamente in situazioni
naturali o comunque senza l'applicazione di tecniche precise e
“rigide”.
Per i
bambini che rimangono più “chiusi” constatiamo che è possibile
ottenere da loro delle risposte, delle prestazioni attraverso delle
procedure precise e attraverso dei rinforzi (“premi”), cioè i
bambini rispondono “solo” a determinati operatori e solo se le
richieste vengono poste in un modo preciso e conosciuto dal bambino.
In questi
casi ci si domanda quanto occorra insistere su alcune competenze e su
alcune prestazioni “cognitive” (rispetto alle abilità di
relazione), se di fatto queste emergono principalmente nel contesto
terapeutico e se non occorra invece privilegiare l'interazione, il
gioco e l'iniziativa spontanea.
Per dirla in
maniera cruda: “E' utile che il bambino impari a contare fino a 100
alla scuola dell'infanzia se poi, ad esempio, ha poche occasioni e
ridotte abilità per giocare e divertirsi con gli altri, se non
prende iniziativa per chiedere i suoi giochi e soddisfare i suoi bisogni?”
Non è
opportuno in questi casi ridurre gli apprendimenti strutturati a
favore di interventi e occasioni di apprendimento che siano il più
“naturali” possibili? Che privilegino maggiormente la relazione?
Tante
possono essere le domande e le osservazioni, tutte legittime.
E
spesso non è possibile avere delle risposte certe perché non
possiamo avere per il bambino la controprova di quello che affermo,
né è possibile, per fare dei confronti tra diversi approcci, paragonare i bambini, perché nessuno è uguale ad un altro.