Viviamo continuamente in funzione
di qualcosa da raggiungere e da ottenere. Giudichiamo qualcosa o qualcuno facendo
confronti tra come vediamo e come secondo noi dovrebbe essere. Spesso lo
facciamo in modo automatico, senza
rendercene conto. Questo approccio alla vita finisce per condizionare la nostra
esperienza: sono ad esempio i “se” e i “ma” che utilizziamo spesso e che danno
un colore diverso alle cose che ci accadono. E finiamo per reagire non a ciò
che ci accade in se, ma ai nostri pensieri, ai nostri giudizi, che sono stati
creati da noi, nella nostra mente. Ciò è dimostrato dal fatto che di fronte alla
stessa situazione ognuno di noi può avere reazioni diverse e il nostro stato d’animo
è condizionato dalla reazione, dal giudizio e dalla interpretazione che
formuliamo su quella situazione. Formuliamo giudizi e interpretiamo di continuo
anche con i nostri bambini: “ancora non ha imparato a….”, “ogni volta che
mangia……., invece sua sorella….”, “ancora non parla…..tuo figlio invece..”, “non
ha imparato a mangiare da solo…”. Questo atteggiamento emerge soprattutto nelle
difficoltà. Non accettiamo un dato comportamento, una difficoltà perché secondo
noi dovrebbe andare diversamente: “dovrebbe essere più sicuro”, “a questa età
dovrebbe pronunciare già tante più parole..”, “non riesce a staccarsi da me…”. Potremmo fare mille esempi, in cui
esprimiamo una visione della realtà che cela un confronto tra ciò che è e come
noi pensiamo e speriamo dovrebbe essere. Ciò finisce per condizionare la visione che
abbiamo del bambino e quindi anche il nostro atteggiamento: ci rapportiamo, in
alcuni momenti, in funzione del raggiungimento di un comportamento e del superamento
di una difficoltà. E giudichiamo il
bambino in base al comportamento che vogliamo cambiare (“ora si che sei bravo”)
e a volte utilizziamo anche le etichette. Le etichette alterano la percezione
della realtà e la restringono: “è pigro…”, “è insicuro..”, “è capriccioso”,
ecc. Magari lo è veramente in alcuni momenti e va bene così. Ma non può essere
solo questo naturalmente, non tutto è
riconducibile all’etichetta utilizzata. Il nostro comportamento non è giusto o
sbagliato, non c’è il genitore e l’educatore perfetto. Ma prendere
consapevolezza di questi meccanismi ci permette di godere ancora di più dei
momenti passati insieme, passati insieme per il piacere e la genuinità dell’incontro,
della relazione. Onoro il bambino per come è e basta, senza alcuna pretesa,
senza alcun giudizio.
La riabilitazione e la neurologia dei bambini spiegata semplicemente.
Il bambino deve essere gratificato, sempre
Ho conosciuto tanti bambini con la dislessia. La famiglia si
rivolge a me per la diagnosi. Tutti hanno un percorso scolastico simile: la difficoltà ad apprendere a leggere
e a scrivere e la lentezza e gli errori nella lettura e nella scrittura. Ma nel
momento in cui spiego quali sono le difficoltà del bambino, descrivendo un
quadro che è diverso da quello che si erano fatti, ecco che la mamma si ferma e
riflette e ha uno sguardo di comprensione verso il suo bambino. E’ come se
finalmente qualcuno riconosca le cose per come realmente sono. Invece finora si
doveva andare dietro i soliti schemi: è svogliato, non si esercita abbastanza, deve
leggere di più, se non legge bene è perché sta poco attento. Ora c’è una sorta
di rivincita. Finalmente!. Ma a questo punto che si fa. Il mio pregiudizio è
che le cose non cambiano perché c’è una diagnosi, una certificazione. Perché il
bambino è intelligente, non ci sarebbe bisogno di certificarlo. Può seguire gli
stessi programmi, adattando con cura e creatività la didattica. E curandoci del
bambino. E non è necessaria una
certificazione per gratificare comunque un bambino che è lento nella lettura.
Perché se vogliamo motivarlo gli dobbiamo dire che è bravo, perché è bravo
realmente. Se vogliamo motivarlo allo studio deve essere gratificato sempre,
anche quando sbaglia: “ti sei impegnato davvero, riguarda queste parole, hai
letto meglio di ieri”. Se è visto “lento”, “incapace”, non ce la farà, si
stancherà e perderà la voglia di studiare. Possiamo vedere il bambino al di là
di come legge e scrive?: “E’ molto intelligente, se solo si impegnasse nella
lettura…”. Non dimenticherò mai, invece, una frase dell’insegnante di scuola
elementare di mio figlio, di fronte alle pagine scritte male: “ma questo è lui”.
Come dire, va bene così. Qualcuno potrebbe obiettare che in questo modo non si
sprona il bambino. NO. Perché il genitore si sente sollevato e non sta a
giudicare il suo bambino, e lo sa già come aiutarlo, lo fa già.
La relazione sopra ogni cosa
Prendiamo lentamente consapevolezza del fatto che il nostro
bambino ha bisogno di un aiuto in più, più specifico per progredire meglio nel
suo sviluppo. Per questo possiamo
avvalerci di figure professionali, che valutano il bambino e le sue abilità.
Individuate le eventuali difficoltà e le abilità del bambino, vengono stabilite
essenzialmente due cose: gli obiettivi del nostro intervento e il come
raggiungere questi obiettivi. Gli obiettivi non devono tenere conto dell’età
del bambino, ma delle sue abilità e delle sue difficoltà. E le attività e gli
obiettivi li collochiamo nell’ “area di sviluppo prossimale” del bambino, cioè
sono vicini rispetto al livello delle sue abilità e si adattano alle sue
caratteristiche. Ma c’è una cosa che conta ancora di più degli obiettivi e delle
tecniche utilizzate, una cosa fondamentale perché il nostro intervento riesca,
sto parlando della Relazione. La
relazione presuppone la nostra capacità di entrare in sintonia con il bambino. In
sintonia con i suoi bisogni, con il suo stato d’animo, con la sua stanchezza,
con la sua motivazione, con la sua voglia di avere vicino la mamma, con le sue
difficoltà. Entrare in sintonia significa rispettare i suoi tempi, perché ognuno
di noi ha dei tempi e dei modi per stabilire e mantenere la relazione. E i
bambini non li possiamo ingannare, perché loro lo sentono quando siamo
sintonizzati, tutti i bambini lo sentono.
E lo sentono non dalle parole che utilizziamo, ma dal nostro atteggiamento
tranquillo, dal tono della voce, dalla postura, dalla gestualità, dalla nostra
pazienza. E quando non siamo sintonizzati con il bambino, dobbiamo avere la
forza di fermarci e fare un passo di lato.. e semplicemente riflettere. Perché nel
momento in cui capiamo che siamo noi poco tolleranti, noi arrabbiati, noi
impazienti, noi tesi e il bambino non c'entra niente, ecco in quel momento la relazione può
tornare nuovamente a fluire.
Il bambino è sacro.
Ogni bambino
è sacro, come sono sacri i suoi genitori.
La sacralità
è l’essenza più intima di ciascuno di noi, che è sempre presente e non cambia,
al di là di come ci chiamiamo, di come ci comportiamo, di come ci sentiamo, di
cosa pensiamo e di cosa pensano gli altri di noi.
La nostra
essenza più profonda, di cui non siamo consapevoli perché travolti da mille
pensieri, rimane immutata anche se cambiano i nostri comportamenti, il nostro
corpo e l’immagine che gli altri hanno di noi. Ci identifichiamo con un
comportamento, con una storia personale, con un’immagine, con un’appartenenza a
qualcosa o a qualcuno, ma tutto cambia e tutto passa, ma possiamo fare sempre e
comunque l’esperienza che il nostro se più profondo è lì integro, immutato.
Rispettiamo
questa sacralità del bambino, questa essenza profonda, la sua essenza più
intima, la sua unicità, presente dietro il suo aspetto, i suoi comportamenti. Guardiamo
il bambino che ho davanti al di là dei nostri giudizi su di lui. Lo amiamo e lo
accettiamo per come è, e non perché si comporta come vogliamo noi. Capiamo che reagiamo ad un nostro pensiero, cioè a una interpretazione del comportamento
osservato, che non coincide affatto con il bambino e con la sua sacralità. Capiamo
quale bisogno nasconde il bambino, quale emozione, quale desiderio dietro a
quel comportamento. Capiamo che se desidera qualcosa che non può avere non è
sbagliato. Capiamo che per il bambino lottare per avere la sua mamma non è un
comportamento sbagliato. Capiamo la sua sofferenza al di là delle apparenze.
Guardiamo la sua unicità, facciamo esperienza della sua sacralità, della sua
natura, al di là dei pianti, delle grida e dei comportamenti che riteniamo
sbagliati. Perché il bambino cresce e cambia perché il cambiamento fa parte di
lui. E diventa un adulto Maturo, non perché rispetta le regole che abbiamo
imposto noi, ma perché è stato visto, riconosciuto, rispettato, accettato,
amato, così come Lui è. Quando ci hanno capito e riconosciuto al di là di tutto,
quando abbiamo onorato ed è stata onorata la nostra sacralità, cambiamo,
cresciamo e diventiamo padroni della nostra vita.
Valutare il bambino con disturbo dello spettro autistico
Conosciamo e valutiamo i
bambini con disturbo dello spettro autistico attraverso le osservazioni, i test e i questionari rivolti ai genitori.
Descriviamo in questo modo le caratteristiche del bambino, le sue
abilità emergenti e le sue difficoltà. Un'abilità si definisce
emergente quando occorre un po' di aiuto da parte dell'operatore per
portare a termine il compito del test. Un aiuto può essere dato
dalla dimostrazione di come si fa, da un'istruzione verbale o dalla
guida fisica. Questi profili indirizzano il nostro intervento.
Alcuni test tracciano un
profilo delle abilità, senza che questo coincida necessariamente con
il funzionamento intellettivo del bambino. Mi spiego meglio: quando
il bambino è piccolo le sue abilità di imitazione, di coordinazione
occhio mano, di percezione, di motricità, “misurate” con il
test, possono corrispondere a quelle di un bambino più piccolo
rispetto alla sua età.
Questo profilo più basso non sempre corrisponderà ad un funzionamento intellettivo basso quando il bambino sarà più grande e non sempre corrisponde al reale profilo di funzionamento del bambino.
Questo profilo più basso non sempre corrisponderà ad un funzionamento intellettivo basso quando il bambino sarà più grande e non sempre corrisponde al reale profilo di funzionamento del bambino.
Cosa può succedere.
Prendo in esame alcune situazioni comuni: il bambino non collabora
all'esame, perché è stanco, perché non è interessato, perché non
ha compreso
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