Il bambino è

Quando valutiamo il bambino descriviamo delle funzioni, dei comportamenti che non sono il bambino, che non coincidono con il bambino. 
Il bambino è...al di là delle sue funzioni e dei suoi comportamenti. Funzioni e comportamenti che cambiano, passano, ma il bambino resta, il bambino sempre è, nel senso che la sua natura è immutata.
Riusciamo a “vederlo”...il bambino? 

Dietro, al di là del suo linguaggio, della sua motricità, della sua aggressività, della sua attenzione o della sua intelligenza.

Vogliamo che tali funzioni e comportamenti cambino, migliorino, ma le nostre parole e i nostri messaggi sembrano concentrarsi implicitamente sul bambino, come se volessimo e pretendessimo che cambi e migliori lui, secondo le nostre aspettative e i nostri schemi mentali.

E poi...non ci rendiamo conto che qualunque comportamento osservato è, in realtà, il risultato di un'interazione, di un'incontro, di una relazione con qualcuno.

E nell'incontro non c'è mai il comportamento del bambino separato da quello dell'altra persona.

Per cui dovremmo eventualmente "giudicare" la relazione e non il comportamento del singolo bambino e quindi noi siamo altrettanto “responsabili” di quanto osserviamo.

I comportamenti dei bambini cambiano a seconda del tipo di interazioni che affrontano e "cambiano", "migliorano", "peggiorano" a secondo del nostro metro di giudizio e dei nostri schemi di riferimento: un comportamento può essere definito un capriccio o un “comportamento problema” o un atto di aggressività; un pianto può essere espressione di “ansia da separazione” o l'espressione di un “bimbo viziato” o semplicemente un pianto. 

E allora come si fa ad essere obiettivi...?









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