“Batti le mani” chiese la mamma al bambino, mentre
io chiedevo se imitava o faceva gesti come “ciao” o “non c’è”. Il bambino
continuava a osservare e scrutare per capire quali erano le mie intenzioni e
non aveva voglia di fare niente.
Se un bambino è in grado di fare una cosa, se sta bene
con voi, se c’è un clima sereno, state tranquilli che prima o poi ve lo
mostrerà. Per questo motivo se invece un bambino non riesce, non serve
insistere, né servono premi, punizioni, esortazioni: “ma come è possibile,
dovresti già saperlo fare!”. Semplicemente non ci riesce, non c’è bisogno di
insistere. E allora fatela insieme o fatela voi per lui, fin da subito. Fate in
modo che già dall’inizio vede come si fa nel modo corretto, ma fatelo insieme a
lui, accanto a lui. E se potete divertitevi, mentre giocate e mostrate. Perché
mentre giocate e fate per lui, lui vi osserva, lui simula quello che ha visto fare a voi, come lo avete fatto voi, corretto fin
dall’inizio e lo può “fissare” nella sua testa se è coinvolto, se è contento. State
tranquilli, che il bambino vi anticiperà nel momento in cui ha capito cosa fare
e come farlo e lo vorrà fare anche lui e vi vorrà mostrare che è bravo. Non esistono
cose facili o difficili, esistono per tutti cose in cui riesco e cose che ancora
non so fare. E allora non serve sapere che è facile o è difficile, o che solo se
mi impegno posso riuscire. Serve che ti siedi accanto al bambino e giochi con lui, senza
valutare e senza giudicare. La riabilitazione e la neurologia dei bambini spiegata semplicemente.
Il "profilo" del bambino
Avete ospiti a cena, ma
avete poco tempo e siete particolarmente stanche. Entra in gioco la vostra
personalità e il vostro “profilo neuropsicologico”. Le vostre “funzioni esecutive”
vi permettono di pianificare i passi da compiere. Per prima cosa ripassate a
mente la ricetta dei piatti che volete preparare. Qui entra in gioco la vostra
memoria a lungo termine, dovete “pescare”
da qualche parte nella vostra testa quella ricetta che avete fatto tante volte.
Ma la vostra “memoria di lavoro”, vi permette di ripassarla in mente e al tempo
stesso di pensare a quali ingredienti avete già a casa. Nel frattempo state guidando
la macchina grazie al fatto che avete “automatizzato” tutta una serie di “prassie”
(“movimenti in sequenza finalizzati ad uno scopo”) per la guida. E monitorate
il traffico, grazie alle vostre abilità percettivo visive in cui chiaramente
tutto il corpo è coinvolto con gli occhi e le orecchie. L’attenzione insieme a
tutte le funzioni esecutive che monitorano il campo d’azione e pianificano, è
sempre in funzione, e vi consente in
ogni istante di fare la cosa più importante. Se ad esempio squilla il telefono,
riesco a “inibire l’impulso” di rispondere perché immagino le possibile
conseguenze, soprattutto se non posso lasciare le mani dal volante. Intervengono
in un breve lasso di tempo le nostre funzioni neuropsicologiche: funzioni
esecutive, memoria, attenzione, linguaggio interiore, percezione, abilità
prassiche. E agisce anche il vostro controllo delle emozioni, per cui decidete
di non arrabbiarvi, perché sapete che la tensione e lo stress inficiano le vostre
prestazioni e la torta non viene buona come quando siete rilassate.
Tutte
queste funzioni sono coinvolte insieme nell’esempio che ho fatto, e quando una
di queste non funziona bene, ecco che emergono delle difficoltà che possono
trascinare anche le altre, soprattutto se siamo impegnati in un compito
complesso, oppure devo iperstimolare una funzione per compensare quella che non
funziona bene. Ad esempio il bambino dislessico che impiega tanta attenzione
per svolgere una funzione, la lettura, che non ha “automatizzato”. Il profilo
neuropsicologico del bambino serve a individuare quali sono le difficoltà
maggiori del bambino e se la terapia sta contribuendo a migliorarle. E la
situazione viene monitorata e verificata periodicamente per apportare eventuali
modifiche. Questo profilo si ottiene tramite la somministrazione di test che
valutano appunto l’intelligenza e tutte le funzioni neuropsicologiche. Ci sono
compiti, più complessi, come nell’esempio riportato, in cui le funzioni
neuropsicologiche intervengono tutte insieme, ma ci sono test e compiti
specifici che servono appunto a misurare e a intervenire solo su una
determinata funzione.
Ovviamente, prima di
ogni profilo, non lo dimentichiamo mai,
c’è sempre il bambino, con la sua personalità, il suo temperamento, la sua
esuberanza e le sue esigenze.
Il farmaco per calmare il bambino.
Vengo chiamato dalle
insegnanti perché il bambino, che frequenta la scuola elementare,
non ascolta, non rispetta le regole, continuamente infastidisce i
suoi compagni e grida.
A volte capita anche che alla minima frustrazione si
butti a terra, in preda ad una forte agitazione. Il quadro che mi
viene descritto è decisamente negativo. Cerco di contestualizzare i
comportamenti, di individuare delle situazioni scatenanti, di capire
un po' di più. Ma le insegnanti sono stanche, e chiamano
di continuo la mamma perché si riporti a casa il bambino. Osservo da
vicino uno di questi episodi, il bambino è lasciato solo con la
mamma all'entrata della scuola, non vuole entrare: grida e tira calci
e pugni. Ma nessuno gli si fa incontro. La mamma è confusa, non sa
cosa fare, si guarda intorno, è stanca di essere chiamata quasi ogni
mattina.
La richiesta che mi viene
fatta è una sola: il farmaco per farlo calmare. Si effettivamente il
farmaco può contribuire a ridurre la sua reattività e la sua
agitazione, a regolare il suo comportamento. E alcuni bambini, anche
se non sono chiari i motivi, hanno una chiara incapacità a regolare
i propri impulsi, a controllare il comportamento e a inibire certe
condotte e sembrano non rendersi conto delle conseguenze di certi
comportamenti. E per questi bambini un intervento comportamentale
deve essere attuato, ma può non bastare. Si prende in considerazione
il farmaco. Si cerca di individuare la dose minima efficace e di
monitorare l'eventuale comparsa di effetti collaterali. E si
verificano insieme alla famiglia, dopo un periodo, se i benefici sono
tali da giustificare la continuazione della terapia. Il farmaco,
però, non è sufficiente da solo, se non viene accoppiata appunto
una terapia comportamentale. Ma ritornando al nostro bambino, c'è
una cosa che va fatta prima del farmaco e prima di qualunque terapia
comportamentale: conoscere il bambino e accettarlo a prescindere.
E lui lo sente quando si sente accettato, anche se è in preda ad un
incantesimo, siamo lì con lui
e aspettiamo che si calmi, lo rassicuriamo, gli parliamo dolcemente.
E stiamo lì, anche se non condividiamo il suo comportamento, anche
se non lo accontentiamo nelle sue richieste.
Perché
ancora non hanno inventato il farmaco che possa fare
sentire il bambino accolto.
Prepariamo tante belle torte
Viviamo ogni giorno percorrendo
gli stessi sentieri conosciuti, dentro le nostre abitudini. Da quando ci
alziamo la mattina ripetiamo gli stessi comportamenti. Lo facciamo perché sappiamo cosa ci
aspetta e ciò ci rende più sicuri e tranquilli. Le situazioni nuove non le cerchiamo o
possiamo trovare delle scuse per evitarle, per non affrontarle. A volte invece, di fronte alle difficoltà, ci
impegniamo con determinazione, ma possiamo non arrivare dritto alla meta perché
non abbiamo programmato bene la strada o ancora dobbiamo semplicemente
aspettare. Quando i nostri bambini si trovano ad affrontare delle difficoltà di
apprendimento a scuola, iniziamo a studiare anche noi per cercare di capire
come aiutarli. Ecco la situazione nuova a scuola: il bambino viene accostato a
delle sigle come DSA o BES. Gli insegnanti iniziano a prendere consapevolezza
che effettivamente il bambino ha delle difficoltà, ma continuano a fare quello
che hanno sempre fatto, perché hanno 30 bambini e non “possono fare un programma
diverso per ciascuno”. Si trovano ad affrontare una situazione nuova: potrebbero
entusiasmarsi nel prendere in mano da protagonisti la didattica, modificandola
con creatività e adattandola per fare emergere il meglio, potrebbero accettare
la situazione senza attribuire responsabilità, o potrebbero pretendere di
continuare a fare quello che hanno sempre fatto. I genitori sperimentano in prima persona le
difficoltà del bambino, che nonostante studi non ottiene risultati. Iniziano a
sviluppare sensibilità e competenze. Toccano con mano. Capiscono ad esempio che
se leggono al bambino la storia, lui la comprende e la sa anche ripetere. E
allora iniziamo a spiegare le difficoltà alle insegnanti, cerchiamo con l’aiuto
di specialisti di sensibilizzare, presentiamo certificati, ma non otteniamo il
cambiamento che vorremmo. Qui sta il punto: possiamo essere artefici del
cambiamento nel momento in cui parte da noi, concretamente, e facciamo toccare con mano i benefici. Prima di
tutto nel bambino, concordando con lui ogni strategia che lo renda il più
autonomo possibile. Questo è il cambiamento: non aspettiamo che siano gli altri
ad adottare il nuovo approccio, le nuove strategie. Iniziamo noi, operatori e
genitori. Ci deve pur essere qualcuno che inizia. Non possiamo aspettare.
Semplicemente perché percorrendo la strada conosciuta stiamo andando a
sbattere: il bambino sta perdendo la voglia di studiare
, non apprende e noi
siamo stanchi di lottare. Io personalmente preferisco mangiarmi la torta già
pronta e che sia qualcun altro a prepararla, altrimenti ci rinuncio. Ecco
quello che voglio dire: portiamo tante belle torte pronte da assaggiare,
facciamo sentire che sono buone, perché la ricetta da sola non basta per
invogliare gli altri a prepararle.Qual è la spiegazione del suo disturbo.
Quando il bambino
manifesta un disturbo dello sviluppo, che riguardi il linguaggio,
l'attenzione, o la relazione, la prima domanda che ci
si pone è “perché presenta tale disturbo?, Quali sono le cause?,
Cosa devo fare per individuarle?”. E allora inizia la ricerca, su
internet, parlando con medici e operatori vari, confrontandosi con
chi ha già affrontato situazioni simili. Ma non sempre si ottengono
risposte soddisfacenti o risposte univoche. Ci sono casi in cui è
chiara nella storia del bambino la correlazione del disturbo con una
causa, con una malattia: per esempio una particolare sofferenza nel
periodo che precede il parto o subito dopo o una malattia che abbia
interessato il sistema nervoso. Ma in tanti altri casi la causa non
si vede, “non c'è”: penso al ritardo del linguaggio, al disturbo
dello spettro autistico, alla disprassia, alla disabilità
intellettiva, ai disturbi dell'apprendimento e dell'attenzione. Gli
esami effettuati non evidenziano niente di significativo. Facciamo
una digressione sull'argomento con alcuni spunti riguardo al nostro
modo di funzionare su questo mondo.
Ognuno di noi si
relaziona e agisce nel proprio ambiente sulla base delle
caratteristiche del proprio sistema “mente-corpo” e del proprio
contesto di vita. Mente e corpo non sono separate, l'una non può
esistere senza l'altro. Quando tocco un oggetto ho un'esperienza
tattile sulla base del fatto che ho utilizzato attraverso il corpo,
appunto, un approccio tattile. Le informazioni che ricevo
dall'ambiente hanno caratteristiche diverse in base al tipo di
modalità di approccio che utilizzo: visiva, tattile, olfattica, ecc.
Cioè è l'azione che svolgo o immagino con il corpo che mi fa avere
una determinata sensazione e quest'azione è coordinata dal cervello.
Altro aspetto importante
sono i significati condivisi: un pezzo di carta (banconota) acquista
valore solo perché è condiviso e non perché il valore sia
intrinseco al pezzo di carta. E poi c'è la nostra storia che ha
plasmato il nostro cervello. Quando interagiamo il cervello, tutto
insieme, assume determinate configurazioni. Ma quando la “realtà è
ben lontana” dalla propria, come un'attività proposta o un gioco,
qualunque persona non riesce ad adattarvisi e a rispondervi perché
richiederebbe un cambiamento grande rispetto alla configurazione del
proprio cervello. Possiamo rispondere alla realtà solo quando questa
richiede piccole variazioni di configurazione del nostro cervello.
Sono aspetti tecnici, lo capisco. Ma con questo voglio dire che per
ogni aspetto della nostra vita c'è una spiegazione, una causa, una
determinata configurazione del nostro cervello, un particolare
adattamento. E c'è una spiegazione anche se non la vedo, ed è
riduttivo (per quanto scritto) trovare la spiegazione solo nel
cervello o nel corpo, o nell'esperienza. E
nel caso dei disturbi dello sviluppo? In un certo senso può valere
lo stesso discorso: la causa c'è ma non la vedo. I geni (DNA)
modellano lo sviluppo del sistema nervoso, e quando il bambino
interagisce, il suo cervello (integrato con il corpo) assume
determinate configurazioni, che poi si possono modificare con
l'esperienza e la terapia, ecc. ecc. Dove è la causa? Qual è la
spiegazione? E' possibile individuarla in una risonanza del
cervello? O dentro una mappa cromosomica?. Posso riconoscere, intuire
un pezzetto di storia o un pezzetto di una catena fatta di tanti
anelli: il DNA, l'esperienza, il corpo, la propria storia, la propria famiglia, il proprio contesto di vita. Gli anelli interagiscono fra di loro e sono tutti importanti, ma non è possibile conoscerne il peso.
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