La disabilità si caratterizza per
l’incapacità o la difficoltà del bambino a svolgere le funzioni proprie della
vita: camminare, parlare, leggere, scrivere, mangiare autonomamente, vestirsi,
lavarsi, capire e ragionare sulle cose. Alcuni bambini a causa della loro grave
disabilità non potranno acquisire determinati obiettivi e certe abilità: non gli appartengono, non sono insite nella
loro natura. Si tratta di obiettivi con un alto valore simbolico, simbolo di una
normalità tanto sperata. Obiettivi quasi “imposti”, perché fanno parte di noi,
della nostra storia, della nostra cultura. Non riusciamo a pensare a storie
diverse, a modalità alternative, perché non le conosciamo e non ne abbiamo esperienza.
E allora rischiamo di riversare tante energie e tanti sforzi in una direzione
sbagliata, verso obiettivi che non potranno essere acquisiti. Cosa fare in
questi casi? Fare più terapia? Aspettare? Continuare a illuderci? Insistere?
Cercare proposte alternative? È possibile prenderne atto nel rispetto del
bambino? È possibile pensare a una storia diversa da quella sperata? Non lo so, non ho la ricetta. Non si tratta di semplici nozioni da acquisire. Non siamo pronti, non siamo ancora pronti. Ci vuole tempo per capire, per elaborare, per accettare, per toccare con mano, ed è giusto che sia così.
Esiste un tempo "fisiologico" per la comprensione di una tale disabilità, che a volte ha un nome esatto (altre no) e per l'accettazione di questa. Tale lasso di tempo, che va dalla "comunicazione della diagnosi" alla "comprensione" è variabile da coppia genitoriale a coppia genitoriale. Inoltre anche all'interno della coppia c'è quello che "viaggia" veloce e chi invece non vuol vedere.
RispondiEliminaEsiste poi un'altra questione.. Siamo SEMPRE pronti (e direi anche preparati ..che non è uguale) come professionisti a comunicare una diagnosi?
Tenuto conto di tutte queste variabili il Medico Neuropsichiatra Infantile ha l'onere enorme di dover "comunicare" non al paziente stesso ma a chi ne fa le veci.
Va dedicato molto tempo, "ritagliare" il tempo giusto, metterci una infinità di pazienza (essere onesti prima di tutto con se stessi). Avere la buona volontà di assicurarsi che chi hai davanti abbia capito davvero e proporre un nuovo incontro per verificare.. Da qui, il più delle volte parte un breve (o lungo) percorso, che da "comunicazione della Diagnosi", diventa "Accompagnamento alla Diagnosi".