Giovanni ha
6 anni e mezzo e frequenta la prima elementare. È un bambino intelligente e
vivace. Ascolta le storie e risponde alle sollecitazioni dell’insegnante, ha
molta fantasia, intuisce significati “nascosti”, spiega le conclusioni delle
favole. Si vede che è sveglio, non c’è bisogno di alcun test o chissà quali
prove per dimostrarlo.
A gennaio Giovanni legge le vocali, le altre
lettere no, non vogliono proprio entrare nella sua testa.
Messo di
fronte alla P, alla T, alla M, le copia benissimo, ma fa tanta fatica a
riconoscerle, a leggerle. A casa la mamma, tra i tanti impegni, riesce comunque
a dedicargli del tempo per i compiti.
L’insegnante
è serena,
si è accorta, aspetta il momento adatto per ascoltare e parlare con
la mamma. Ha capito che Giovanni è intelligente, si ogni tanto si distrae, ma come
tutti i suoi compagni. Allora decide di rallentare, perché c’è tempo. Decide di
riprendere con le lettere dell’alfabeto, coinvolgendo tutti i bambini.
Intuisce
nuove opportunità.
Passano le
settimane e Giovanni inizia a memorizzare, ma è lento nel rievocare il suono
della P, della T, ecc.
Non ci
sono confronti, non c’è nessun traguardo da raggiungere prima di altri. Siamo
in prima elementare.
È una situazione naturale.
Non ci si
accorge affatto che stanno aspettando Giovanni.
La storia
può avere diversi finali, ma l’inizio fa
la differenza. Che bello. Non ci sono etichette, non ci sono diagnosi, non
ci sono confronti, giudizi.
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