Vengo chiamato dalle
insegnanti perché il bambino, che frequenta la scuola elementare,
non ascolta, non rispetta le regole, continuamente infastidisce i
suoi compagni e grida.
A volte capita anche che alla minima frustrazione si
butti a terra, in preda ad una forte agitazione. Il quadro che mi
viene descritto è decisamente negativo. Cerco di contestualizzare i
comportamenti, di individuare delle situazioni scatenanti, di capire
un po' di più. Ma le insegnanti sono stanche, e chiamano
di continuo la mamma perché si riporti a casa il bambino. Osservo da
vicino uno di questi episodi, il bambino è lasciato solo con la
mamma all'entrata della scuola, non vuole entrare: grida e tira calci
e pugni. Ma nessuno gli si fa incontro. La mamma è confusa, non sa
cosa fare, si guarda intorno, è stanca di essere chiamata quasi ogni
mattina.
La richiesta che mi viene
fatta è una sola: il farmaco per farlo calmare. Si effettivamente il
farmaco può contribuire a ridurre la sua reattività e la sua
agitazione, a regolare il suo comportamento. E alcuni bambini, anche
se non sono chiari i motivi, hanno una chiara incapacità a regolare
i propri impulsi, a controllare il comportamento e a inibire certe
condotte e sembrano non rendersi conto delle conseguenze di certi
comportamenti. E per questi bambini un intervento comportamentale
deve essere attuato, ma può non bastare. Si prende in considerazione
il farmaco. Si cerca di individuare la dose minima efficace e di
monitorare l'eventuale comparsa di effetti collaterali. E si
verificano insieme alla famiglia, dopo un periodo, se i benefici sono
tali da giustificare la continuazione della terapia. Il farmaco,
però, non è sufficiente da solo, se non viene accoppiata appunto
una terapia comportamentale. Ma ritornando al nostro bambino, c'è
una cosa che va fatta prima del farmaco e prima di qualunque terapia
comportamentale: conoscere il bambino e accettarlo a prescindere.
E lui lo sente quando si sente accettato, anche se è in preda ad un
incantesimo, siamo lì con lui
e aspettiamo che si calmi, lo rassicuriamo, gli parliamo dolcemente.
E stiamo lì, anche se non condividiamo il suo comportamento, anche
se non lo accontentiamo nelle sue richieste.
Perché
ancora non hanno inventato il farmaco che possa fare
sentire il bambino accolto.
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