Dalla parte del bambino.

Descrivere la condizione delle famiglie che convivono con la malattia e la disabilità del figlio non è possibile, o almeno risulta molto difficile. Perché entriamo in una sfera privata, che investe la vita soggettiva di ciascuno. Perché descrivere i sentimenti e i vissuti che nascono nelle storie di ciascuno non è possibile, così come non è possibile descrivere ad esempio le sensazioni o gli stati d’animo. Le parole non possono spiegare un’esperienza soggettiva, personale. E per questo che descrivo delle tendenze, dei comportamenti. Ad esempio ci sono delle famiglie che “lottano” e che non delegano, che si informano, che inseguono ogni possibilità d’intervento. E spinti magari dalle pressioni degli altri o dai propri sensi di colpa (ma il genitore non ha nessuna colpa) seguono anche delle terapie alternative, non convenzionali. Queste terapie non sempre si integrano con le altre svolte dal bambino ed essendo non convenzionali, diciamo che non ne è stata dimostrata l’efficacia. Ma cosa spinge il genitore ad affidarsi e a fidarsi di persone che fanno tali proposte. Una spiegazione: il messaggio è chiaro e semplice, e lascia intravedere una speranza. In questo messaggio si lascia intendere una spiegazione semplice della disabilità e quindi anche la proposta di intervento è semplice: il bambino per parlare deve semplicemente “rompere il fiato” o per superare il suo blocco deve fare tante volte questo tipo di esercizi,  al posto di quelle spiegazioni “complesse” in cui si dice che il bambino per parlare deve  essere in grado di imitare, di comunicare, di relazionarsi, deve avere la motivazione, gli interessi, ecc. ecc. A questo messaggio semplice e chiaro a tutti, se ne aggiunge un altro: grazie a questo metodo i bambini hanno fatto tanti progressi, o sono addirittura guariti. E non serve necessariamente una spiegazione, il messaggio arriva forte ed è immediatamente convincente. La famiglia a questo punto non sente altro. Un ulteriore annotazione: la riabilitazione, rispetto ad altri campi della medicina, si presta maggiormente a discussioni. Non stiamo valutando una lastra
dove c’è il parere del medico che non viene in alcun modo discusso. Insegnanti, parenti, amici, ecc., dicono la propria su cosa è giusto fare e possono agire di conseguenza. E’ vero, ognuno con la propria professionalità, ma quello che succede a volte è che ognuno agisce in modo diverso, senza un progetto veramente condiviso. Ma qui non si tratta di vedere se il braccio è rotto oppure no, qui c’è un bambino che ha una sua storia, dei suoi interessi, delle difficoltà e si relaziona con tante persone e c’è la famiglia e il contesto di vita. Tutte variabili estremamente importanti, di cui si deve tenere conto, e per questo il bambino non può essere confinato dentro una tecnica o un metodo. Se poi sono anche sbagliati……

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