L'etichetta che ci condiziona

Ho conosciuto un ragazzo di 13 anni, di nome F., che ha un disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento. Questa diagnosi è stampata su un foglio, associata a una serie di esami, test e descrizioni del comportamento. In virtù di tale etichetta ha iniziato a fare quelle terapie che vengono in genere consigliate in questi casi.

Siccome lui ha questa diagnosi tutto spinge verso quella strada.

Gli ho chiesto cosa volesse fare e lui mi ha risposto che non voleva frequentare più il centro di riabilitazione, voleva disegnare, giocare e basta.

No, questo non è proprio possibile, c'è una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, c'è sempre qualcuno pronto a indignarsi alla minima difficoltà di F., se lui non è seguito dal centro di riabilitazione. Mica può frequentare la piscina, gli scout e i campi da calcetto. Lui deve fare la riabilitazione. C'è una diagnosi.

Ma quando parlo con lui, la diagnosi io non la vedo proprio.

Ha espresso dei desideri, non può decidere come fanno gli altri ragazzi della sua età. Si, ma c'è il rischio che non venga capito, che venga preso in giro, che si metta nei guai.


Ah, giusto, deve frequentare ancora il Centro di riabilitazione, ma chi lui? o qualcun altro?

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