Se fai questo ottieni quello?


Premo un bottone e si accende una luce: c'è un rapporto lineare tra il mio gesto e l'effetto, dato quel gesto ottengo sempre la stessa risposta.

Possiamo applicare questa semplice regola al comportamento umano e quindi ai bambini che abbiamo in cura?

Alcune nostre espressioni e procedure sembrano andare in questa direzione: “se fai questo ottieni quello”, “se vuoi farlo smettere procedi in questo modo”, “se vuoi ottenere questo comportamento associa questo rinforzo”.

In fondo è questo che ci raccontiamo.

Quello che voglio dire, invece, non è un'altra teoria.

Dico semplicemente che ci sono cose che accadono, che semplicemente non si possono raccontare, non si possono dire, che non si possono descrivere con un semplice rapporto di causa effetto.

Possono essere eventualmente “ascoltate”, “sentite” nel corpo quando accadono se siamo in grado di “ascoltare”, se siamo in grado di mettere da parte le nostre teorie in quel momento.

E cosa accade?: non lo so.

Perché quel “sentire” è intimo, è tuo, è mio.




Aspettiamo


Una scena: la mamma che allatta il suo bambino. 
C’è perfetta sintonia, nel neonato sensazioni indefinite che fluiscono, la sua bocca si apre, ciuccia, si ferma, riprende, e la mamma ad accordare ogni cosa. 
Non c’è nessuna regola da seguire. Tutto avviene in modo naturale.


E se la mamma fosse invece “sorda” ai richiami del neonato? Se non fosse in grado di ascoltare i suoi bisogni?

Dentro una logica di intervento, di terapia, qualora fossimo chiamati in causa, ci renderemmo conto che non servono le regole, i consigli, le istruzioni su cosa la mamma debba fare o non fare.  

E sempre dentro una logica di terapia le nostre attenzioni non sarebbero rivolte sul neonato, ma eventualmente sulla mamma.

Ecco, se fosse possibile pensare a questa immagine per le mamme che hanno intrapreso un percorso riabilitativo insieme al loro figlio, allo stesso modo ci accorgeremmo che non servono i consigli, le istruzioni, le regole da seguire. E non penseremmo allo stesso modo di dover porre le nostre attenzioni solo sul bambino.

Le cose che noi ci aspettiamo a volte accadono prima, altre volte occorre più tempo, occorre percorrere strade più lunghe e più tortuose. 
Il nostro compito è esserci, con le nostre competenze, con la nostra professionalità, con il nostro ascolto e con il nostro silenzio, senza aspettative e senza alcuna pretesa, il resto verrà da se.

"Dimentica la Riabilitazione"


La Riabilitazione ha il compito, innanzitutto, di cercare e custodire il benessere del bambino e della sua famiglia.

Il termine Riabilitazione è troppo impersonale, preferisco pensare alle persone che responsabilmente si prendono cura del bambino.

Altro compito è accompagnare il bambino, percorrere insieme un pezzo di strada.

Non pensare cioè di dover trasmettere solo delle nozioni, di riempire il bambino di contenuti come fosse un “contenitore”.
Ma concretamente come si fa?: ad esempio non insegnare a giocare, ma giocare insieme a lui e poi giocare con lui insieme agli altri”.

Non devo insegnare questo è rosso e questo è giallo?, questo è alto e questo è basso?”. Non lo so, ma curati della relazione. Semplicemente perché il bambino non è un contenitore da riempire. Non sono le nozioni che gli consentono di interagire. Curati delle relazioni, fai da ponte tra lui e gli altri.
Come si cura la relazione?
Intanto dimenticando gli obiettivi, le nozioni, i contenuti e ascoltando ciò che accade e ciò che senti quando state insieme.



Non occorre nessun rinforzo.

Il bambino non fa quanto richiesto, quanto atteso...
E' solo questione di rinforzi, occorre individuare il rinforzo più forte, che verrà concesso al bambino subito dopo aver svolto l'azione richiesta. E così via. Nuova programmazione. Nuovi obiettivi. Nuovi rinforzi.

E se invece il bambino semplicemente non ha le capacità necessarie per svolgere quel dato compito? E' solo una questione di rinforzi e di aiuti?

O la realtà semplicemente è quella che è.

A volte evidente, fin da subito.

Semplicemente prendo atto che il bambino non ne ha le possibilità.

Non vi posso fornire nessun criterio assoluto al riguardo: l'età, la valutazione con i test, le osservazioni ripetute nel tempo, il comportamento del bambino.

L'unico invito che posso offrirvi è quello di provare a considerare la possibilità che il bambino semplicemente non riesce. Non riesce: basta.
Non cambia niente. Il bambino resta il bambino voluto, amato anche se non legge, non scrive, non fa questo, non fa quello.


Ci possiamo finalmente rilassare, abbiamo già fatto tutto quello che c'era da fare.

Non esiste il metodo scientifico

In riabilitazione ci troviamo ad applicare delle procedure, delle tecniche, un metodo, che adattiamo al bambino, agli obiettivi del trattamento, al contesto.
A volte sentiamo dire e leggiamo che un metodo è più valido di un altro perché ne è stata dimostrata scientificamente l'efficacia.
L'esperienza clinica ci permette di verificare effettivamente l'efficacia di una procedura e di decidere se e come continuare.
Tuttavia discuto la presunta scientificità di un metodo perché nell'analizzare lo studio scientifico non vengono considerate tante variabili: ad esempio la presenza stessa della persona, il volto, la voce, lo sguardo, la postura, il tocco della mano, i movimenti, il momento della giornata, l'umore, le emozioni, il contesto.

Sono variabili che non possono essere misurate come in un metodo scientifico, non possono essere eventualmente replicate sempre allo stesso modo, né possono essere semplicemente descritte come si fa con le procedure, né possiamo pensare che non esistano, né è possibile dire che non influiscono.

Non possono essere misurate, né esistono strumenti di misurazione obiettivi.

Non possono essere replicate perché siamo unici così come è unica la relazione tra due persone, unica e diversa in ogni momento.

Queste variabili non possono essere descritte semplicemente perché le parole non arrivano, neanche lontanamente, a descrivere e far vivere un'esperienza. Le parole e le rispettive esperienze che indicano sono due cose diverse: con la parola pane non mi sazio. La parola pane può indicare un'esperienza, ma chiaramente non coincide con quell'esperienza.

Sono variabili presenti in una relazione perché non siamo dei robot.

Sono variabili che dire che influenzano il momento di un'incontro è dire poco perché di fatto costituiscono quell'esperienza che chiamiamo relazione.

Relazione che è altro da me e dalla persona che incontro, ma anche se è altro da me, mi identifica. 
Qualunque identità voglia considerare di me e del bambino, questa si realizza nella relazione. Non esiste una caratteristica del mio comportamento, della mia identità che sia assoluta e non nata, creata, sempre, in una relazione, nella Relazione.




La bellezza di un'attesa

Il bambino piccolo entra nella stanza, per lui è una situazione nuova, non mi conosce, si accorge della mia presenza. Gli vengono fatte delle richieste, non è ancora completamente a suo agio e resta in silenzio e non si muove. E' difficile dare un nome al suo stato d'animo, intuisco che occorre aspettare. 

E' un'attesa silenziosa, il mio corpo e il mio sguardo sono rilassati, non cerco niente. Dopo poco tempo il bambino inizia a giocare, a interagire e a rispondere alle richieste.

Ho visto il bambino in un altro momento, in un altro contesto e con le stesse esitazioni. In questo caso ho sentito un'altra attesa, più rumorosa, fatta di esortazioni, premi e direttive ripetute, finalizzate a ottenere determinate risposte, subito.

Sono solo due momenti della vita del bambino, che tuttavia, in molti casi, presuppongono visioni diverse che si concretizzano in approcci diversi.


Non sono in grado di stabilire gli effetti a lungo termine di un tipo di approccio rispetto all'altro, ma intravedo, se non altro, il rischio di perdersi la bellezza di un momento, in cui c'è silenzio e i corpi dialogano e i volti parlano. 

C'è solo la musica

Quando il bambino è nato c’è stata una sofferenza che ha “rotto” un equilibrio.

Ora c’è pianto, disagio, rabbia, cure. Non c’è ancora il bambino che agisce nel mondo in modo intenzionale. 

Ci sono tante sensazioni, ma non come le conosciamo noi fatte di voci, luci, rumori e parole. Ci sono tante sensazioni non distinte, che non hanno un nome.

Le cose non hanno ancora un nome e per questo esistono solo come sensazioni. Sensazioni che accadono in un flusso continuo. Alcune si associano a ciò che noi possiamo chiamare disagio, e quindi compare il pianto o una rigidità.  

Comunque, “ora il bambino deve fare tanti esercizi”. Non salvo niente in questa frase, niente

Il bambino, come lo pensiamo noi, non c’è. Lui è un flusso di sensazioni ed emozioni che non hanno nome.  

Nel flusso delle emozioni e delle sensazioni ce ne sono alcune che si accordano con il bambino, che determinano qualcosa che chiamiamo quiete, benessere. Si accordano è il verbo giusto. Perché è come la musica. C’è una sensazione che nasce che è in sintonia, cioè ha lo stesso ritmo, intonazione, frequenza e intensità rispetto a ciò che nasce dentro il bambino. 
E’ lì che compare l’azione che vuole continuare ad ascoltare la musica  

Non ci sono gli esercizi da fare. Ora il mondo intero, fatto di voci, braccia, musiche, cibo, coccole, si accorda con il bambino.  

C’è solo l’accordo da ricercare, per ritrovare la musica. E ogni melodia è diversa, non posso ottenerla usando le stesse note di giorno o di sera, non posso usare lo stesso strumento per tutti.

E se c’è la musica, il resto verrà da se, occorre solo aspettare.  


Per i bambini autistici intervento strutturato? O no

Ci sono bambini con un disturbo dello spettro autistico che, indipendentemente dal tipo di intervento a cui vengono sottoposti, permangono in uno stato di “chiusura relazionale” maggiore rispetto ad altri che hanno lo stesso disturbo.
Lo vediamo dallo sguardo, dalla partecipazione, dall'iniziativa, dalla spontaneità, dalla rigidità dei comportamenti.
In altri bambini è possibile invece osservare “maggiori aperture”, cioè sono più presenti alla relazione.

Per questi bambini constatiamo che l'apprendimento non richiede un intervento rigido e strutturato, ma avviene quasi spontaneamente in situazioni naturali o comunque senza l'applicazione di tecniche precise e “rigide”.

Per i bambini che rimangono più “chiusi” constatiamo che è possibile ottenere da loro delle risposte, delle prestazioni attraverso delle procedure precise e attraverso dei rinforzi (“premi”), cioè i bambini rispondono “solo” a determinati operatori e solo se le richieste vengono poste in un modo preciso e conosciuto dal bambino.

In questi casi ci si domanda quanto occorra insistere su alcune competenze e su alcune prestazioni “cognitive” (rispetto alle abilità di relazione), se di fatto queste emergono principalmente nel contesto terapeutico e se non occorra invece privilegiare l'interazione, il gioco e l'iniziativa spontanea.

Per dirla in maniera cruda: “E' utile che il bambino impari a contare fino a 100 alla scuola dell'infanzia se poi, ad esempio, ha poche occasioni e ridotte abilità per giocare e divertirsi con gli altri, se non prende iniziativa per chiedere i suoi giochi e soddisfare i suoi bisogni?”

Non è opportuno in questi casi ridurre gli apprendimenti strutturati a favore di interventi e occasioni di apprendimento che siano il più “naturali” possibili? Che privilegino maggiormente la relazione?

Tante possono essere le domande e le osservazioni, tutte legittime. 

E spesso non è possibile avere delle risposte certe perché non possiamo avere per il bambino la controprova di quello che affermo, né è possibile, per fare dei confronti tra diversi approcci, paragonare i bambini, perché nessuno è uguale ad un altro.



I parametri per assegnare l'insegnante di sostegno

Ai fini dell’assegnazione dell’insegnante di sostegno per i bambini che frequentano la scuola elementare un elemento che viene preso in considerazione il più delle volte è sicuramente il quoziente intellettivo (Q.I.). Si tratta di un numero che si ottiene dalla somministrazione dei test intellettivi, in base alle risposte che fornisce il bambino. Se il quoziente intellettivo è inferiore a 70 siamo nell’ambito di quella che viene definita disabilità intellettiva per cui si ha diritto all'insegnante di sostegno. Se il Q.I., invece è superiore a 70, qualora siano presenti difficoltà di apprendimento i bambini possono ricevere l’etichette di BES o di DSA, che non sono in genere accompagnate dalla certificazione per il sostegno.
I test vanno naturalmente interpretati, nel senso che il clinico che li somministra può effettivamente capire se i punteggi e le prestazioni osservate durante il test sono espressione verosimile del livello intellettivo del bambino. Ad esempio il bambino può essere stanco e allora il test può dare punteggi inferiori alle reali capacità. Oppure se ci basiamo solo sulle prove verbali per un bambino che ha un disturbo del linguaggio possiamo ancora avere punteggi di Q.I. più bassi rispetto alle reali potenzialità del bambino. In questi casi il clinico decide di ripetere i test o di somministrane altri più confacenti alle caratteristiche del bambino. Per avere un conoscenza più completa del bambino non ci basiamo solo sui test, ma anche sulle osservazioni fatte, sulle notizie raccolte e sulle capacità di apprendimento evidenziate nel tempo.
Detto questo è chiaro che basarci solo su un numero ai fini dell’assegnazione dell’insegnante di sostegno e del relativo  numero di ore è veramente riduttivo e non rende “giustizia” all’interesse del bambino.
Ci possono essere anche altri parametri che possiamo considerare, ma in ogni caso, se abbiamo a cuore e a mente ciò che è in gioco, i nostri riferimenti devono essere il bambino, la famiglia, le insegnanti, i terapisti, e non solo le carte e i numeri.




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