Cosa desideriamo per i nostri figli?

Ma in fondo cosa desiderano i nostri figli? E noi genitori cosa desideriamo per loro? Forse queste domande non ce le poniamo spesso o non ce le poniamo affatto, perché siamo presi da mille pensieri, dai problemi quotidiani, o forse perché pensiamo di saperlo.
I bambini ci chiedono, se potessero, di essere amati per come sono, di essere trattati con dolcezza, di poter essere loro i “padroni” della loro vita.
Noi sicuramente desideriamo che siano felici, capaci di gratitudine, in grado di rispettare le cose e le persone,  che siano sicuri di sé, indipendenti, con una buona autostima per cavarsela nella vita.
E vogliamo che siano anche bravi. Ma cosa significa essere bravi.

Essere bravi significa forse non piangere, non fare capricci e seguire tutti i nostri consigli e le nostre indicazioni.  A prescindere.

Ma il “bravo” bambino, che ad esempio smette di piangere e si addormenta, nel tempo può diventare un bambino che  si arrende e non tiene conto dei propri desideri e sentimenti, perché ciò che conta è altro.

Ci hanno insegnato a rispettare le regole, ad essere bravi, a fare determinate cose perché c’è un’autorità che lo dice, al costo di rinunciare o peggio finire per non sentire i nostri bisogni, sentimenti e desideri.

In realtà per cavarsela nella vita non contano le regole o le conoscenze, ma l’accettazione di se stessi, l’autostima, la fiducia nelle proprie capacità, le passioni. E perché queste virtù nei bambini si possano sviluppare quello che conta veramente è consentire che la loro natura possa emergere, che i loro sentimenti siano riconosciuti, che di mamma e papà si possano fidare e possano chiedere tutto ciò di cui hanno bisogno.

L’accettazione e l’empatia hanno il potere di grandi trasformazioni.
Ma per fare tutto ciò occorre una presa di responsabilità da parte nostra, occorre porsi le domande, fermarsi per riflettere. E godere e provare stupore semplicemente della loro presenza




Non c'è niente da "sbloccare"

Quando osserviamo i bambini, le loro conquiste, i loro progressi, le prime parole, i primi passi, siamo presi da stupore.  Siamo orgogliosi, siamo onorati di essere partecipi di queste meraviglie. Ma ogni conquista, grande e piccola, è inserita all’interno di un percorso, che inizia molto presto e cioè fin da quando il bambino si trova dentro la sua mamma. Ogni conquista non avviene a caso, ma presuppone un lungo “studio” da parte del bambino e tanto amore da parte dei suoi genitori. Pensiamo ad esempio alle prime parole. Il bambino inizia a familiarizzare con i suoni della sua lingua fin da quando è dentro la pancia della mamma. E da neonato inizia anche a distinguerli. E’ particolarmente affascinato davanti al volto della sua mamma che le canta e le sussurra una ninna nanna. Già dai primi mesi il neonato comincia a “dialogare” con tutto il suo corpo, con la mimica e con i vocalizzi. E ben presto comprende che con il pianto ottiene l’attenzione e le coccole, e vengono così soddisfatti i suoi bisogni primari. La sua mamma interpreta continuamente i suoi comportamenti, attribuendovi significati e intenzionalità: “hai fame?”, “si vuoi la tua mamma”. E poi ci sono i primi suoni: “ma-ma, ba-ba,”. E lì la mamma si precipita, con un grande sorriso: “siii, hai detto mamma” e iniziano il gioco e le coccole. Il cammino è veramente lungo e avviene in modo naturale, senza rendercene conto, ma presuppone un fluire continuo di relazioni ed emozioni. Perché solo dentro la relazione avvengono le conquiste, senza relazione il bimbo non cresce, non nasce. “Mi muovo dentro un ambiente che voglio conquistare e conoscere e dentro la relazione con chi si prende cura di me”.
E quando il bambino ha difficoltà, o un ritardo, ci dimentichiamo cosa c’è dietro una conquista, ci dimentichiamo quali abilità sono necessarie perché il bimbo pronunci le sue prime parole. E pensiamo che ci possa essere l’esercizio, il massaggio, la medicina che possa inserirsi dentro quel percorso, che possa liberare il bambino da chissà quale “blocco”. Ci dimentichiamo che il cervello e tutto il corpo sono plasmati dall’esperienza, ma solo da quelle esperienze ripetute in cui il bambino è protagonista che agisce nell'ambiente. Non esiste l’esercizio speciale che consenta al bambino di apprendere, di riuscire a parlare e a camminare, a leggere e a scrivere se lui non è protagonista. E protagonista lo è anche il neonato, che quando alza il capo e lo orienta verso la sua mamma, non lo fa certo perché i suoi muscoli sono cresciuti o perché l’abbiamo liberato da chissà quale blocco.
  

Come aiutare il bambino "iperattivo".

Tutti i bambini possono presentare più o meno frequentemente dei comportamenti non appropriati, o ancora quelli che definiamo comunemente capricci. Nella maggior parte dei casi riusciamo a individuare  i motivi e basta un po’ di comprensione, accettazione e qualche regola e il bambino gradualmente impara a utilizzare altri comportamenti, più appropriati, per esprimere bisogni e desideri. Ma ci sono alcuni bambini, che più di altri, fanno decisamente fatica a controllare il proprio comportamento: sono irrequieti, passano facilmente da una cosa all'altra, possono essere impulsivi, non ascoltano, non completano le attività,  si alzano in continuazione. Questi bambini, al di la delle definizioni che possiamo utilizzare, hanno una vera e propria difficoltà ad autoregolare il comportamento, e ciò non dipende dal tipo di educazione o come direbbe qualcuno dall’assenza di regole.

E per loro che vale ancora di più la regola (che vale per tutti), che se vogliamo ottenere dei cambiamenti positivi dobbiamo premiare i comportamenti adeguati: ad esempio se durante la prima ora a scuola il bambino sta seduto solo i primi dieci minuti ma poi si alza in continuazione, solo se lo premiamo per il tempo che è stato seduto, il giorno dopo andrà meglio. La punizione, la mortificazione, l’umiliazione nel medio e nel lungo termine non ci fanno ottenere i cambiamenti sperati. Occorre definire i comportamenti che vogliamo ottenere, perché non basta dire “se fai il bravo poi ottieni….”. “Se fai il bravo” è troppo generico” e non ci permette di apprezzare i piccoli cambiamenti positivi del comportamento, infatti nell’arco della mattinata il nostro bambino sarà stato seduto a seguire la lezione, ma si sarà alzato e avrà disturbato tante volte, per cui alla fine della giornata non avrà ottenuto nessuna gratificazione, se non abbiamo definito bene il nostro obiettivo. Ricordiamo che è l’esperienza del successo che ci motiva a cambiare e a continuare ad adottare un dato comportamento. E allora quello che si può fare con i bambini che hanno difficoltà ad autoregolarsi è identificare un comportamento che vogliamo ottenere, un comportamento che sia ben calibrato: se oggi il nostro bambino sta seduto solo 15 minuti, il nostro obiettivo sarà arrivare a 20 minuti e gradualmente sempre più, e lo premiamo ogni volta con una bella “faccina sorridente” che mettiamo bene a vista. E le “faccine” saranno sempre di più e alla fine della fila di faccine c’è il disegno del premio che riceverà. Le faccine saranno facilmente visibili al bambino.
Ripeto, se vogliamo ottenere dei cambiamenti il bambino deve sperimentare il successo. Il successo è dato dal premio per essere stato seduto 20 minuti e lo aiutiamo per raggiungere il suo obiettivo e lo premiamo anche se poi si è alzato per il resto dell’ora. Perché il nostro obiettivo non era “fai il bravo”, ma “stare seduti per 20 minuti a seguire la lezione”, e lui si è dovuto impegnare per raggiungere quel tempo. Lo stesso principio e la stessa tecnica vale per tutti gli altri comportamenti che vogliamo ottenere.

Come capire se quello che sto facendo per il bambino è utile.

Quando abbiamo realizzato che il nostro bambino aveva bisogno di fare la riabilitazione, ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo iniziato con tanto impegno e speranza questo percorso. Abbiamo incontrato tante persone, alcune con visioni diverse rispetto all'intervento e alla valutazione. Abbiamo letto tanto, soprattutto su internet: tante proposte riabilitative diverse, alcune delle quali che promettono la guarigione. Ma ora c'è da prendere una decisione: "chi ascolto?", "chi avrà ragione?".
Sulla base della mia esperienza e formazione individuo alcuni criteri che vi possono guidare in queste scelte.
Ricordate che ciò che va bene per un bambino e la sua famiglia non è detto che vada bene anche per un altro. E questo lo ricaviamo dall'esperienza.

Se sottoponete il bambino a tanti trattamenti, senza un unica regia, e con modalità diverse, non è detto che sia proficuo.

Mantenete un atteggiamento di riflessione e di attesa di fronte a proposte che lasciano intravedere soluzioni semplici e facili al problema.

Seguite anche il vostro istinto per capire cosa è veramente utile e cosa non lo è, lasciando anche stare le proposte più seguite e famose.

Valutate anche seguendo il criterio del "buon senso", perché alcune tecniche di riabilitazione non lo soddisfano.

Considerate ancora che per giudicare se una cosa è buona e di buon senso, questa deve poter essere tranquillamente pensata e proposta anche per bambini con uno sviluppo tipico e regolare.

E poi, deve essere sempre chiara la relazione tra la difficoltà del bambino e il tipo di attività che gli viene richiesta da svolgere: ciò significa che se la difficoltà riguarda il linguaggio, gli esercizi verteranno sul linguaggio; se le difficoltà riguardano l'apprendimento il lavoro sarà svolto su lettura, scrittura, abilità percettive, di linguaggio ecc., strettamente collegate appunto con l'apprendimento, se la difficoltà è di tipo motorio verranno svolti esercizi cognitivi che prevedano un impegno motorio per risolverli, e così via per tutte le funzioni.

Altro criterio è la chiarezza degli obiettivi, che devono essere facilmente verificabili e in qualche modo misurabili.

E infine c'è il bambino che sta bene, è motivato e ha il piacere di impegnarsi, perché altrimenti non c'è cambiamento, non c'è apprendimento.

Lettera di un genitore.

Quando mi comunichi la diagnosi, e mi spieghi cosa ha mio figlio, perché non parla, perché ancora non cammina, non lo fare solo in un incontro. Accompagnami in questo percorso di accettazione, di adattamento, io non ero pronto, mi ero immaginato un altro bambino. Dammi il tempo di cui ho bisogno. Non mi dare tutte le risposte, rispondi solo alle domande che ti pongo, per le altre ancora non sono pronto. Io ho bisogno di sperare. Non mi giudicare, io non sono un tecnico come chi ha studiato tanto per capire certe cose, non sono abituato a certi termini e non ne ho esperienza. E poi io dimentico e cancello alcune informazioni, aiutami a capire soprattutto nel momento in cui mio figlio non cammina o non parla come gli altri bambini. E non mi giudicare se voglio sentire altri pareri, perché ancora il dolore è vivo. E credimi quando ti racconto le cose belle che fa mio figlio, anche se a te non le ha fatte. Lo so dovrei capire in fretta per il bene del mio bambino, perché rischio di sbagliare o di chiedergli delle cose troppo difficili, ma ho bisogno ancora di tempo. E poi io sto iniziando a capire, spiegatelo alle insegnanti o ai miei parenti, che mi pressano in continuazione e hanno capito ancora meno di me. Accettami come sono e comprendimi. Lo so che sono diventato troppo protettivo nei confronti del mio bambino, ma lo vedo ancora debole e non tutti ancora hanno capito cosa ha, e lui non si fa capire bene. A volte ho paura di sbagliare ed è per questo che ancora non me ne occupo come vorresti. E allora ti chiedo di aiutarmi a trovare dentro di me le risorse e la forza necessarie, per tutto.

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