La prima visita

Intuisci, senti che il tuo bambino ha delle difficoltà, ha “qualcosa che non va”: non ti sorride, non si interessa ai giochi, non sta ancora seduto, non dice nessuna parola, è molto irritabile e non si consola facilmente. Le tue sicurezze possono iniziare a vacillare. Perché non hai esperienza, ti mancano dei riferimenti: il tuo bambino può avere comportamenti diversi rispetto ai bimbi che conosci e che hai conosciuto, può esprimere bisogni e desideri in un modo diverso, e allora ti vengono dei dubbi, ti fai delle domande. Già prima che te lo dicessero gli altri, i parenti o il pediatra, lo sentivi già che c’era qualcosa che non andava, ma non sapevi definirlo bene o ancora non eri pronta a vederlo.
Magari sei stata consiglia da qualcuno, dai parenti, dal pediatra, dalle insegnanti della scuola materna: “fai vedere il bambino perché ancora non parla bene, non cammina, si comporta male, piange sempre”. Questo ha determinato in te inizialmente una resistenza, un rifiuto e ti sei presa del tempo per pensare.
Puoi, invece, prima ancora dei consigli degli altri, aver preso tu la decisione di far visitare il tuo bambino, anche se qualcuno te lo sconsigliava o ti diceva che eri ansiosa e dovevi solo aspettare. Non ti sei sentita capita, ti sei sentita sola e non sostenuta. Arrivi alla prima visita. La prima visita non si dimentica facilmente, perché sei coinvolta, sei la mamma: paure, speranze, preoccupazioni, insicurezza si mescolano insieme.
Le parole del medico non le hai più dimenticate. Hai ascoltato con attenzione ogni parola, magari non riuscendo ad afferrare bene il significato di alcuni termini, hai osservato la faccia del medico per scrutare un’espressione, una qualunque cosa che potesse allontanare quei dubbi che ti portavi dentro. E invece hai avuto delle conferme. La prima volta non è stata fatta nessuna diagnosi, nessun nome particolare: “vediamo nei prossimi mesi”, “dobbiamo fare assolutamente dei controlli”, “il bambino deve fare tanta fisioterapia”. Forse il medico distrattamente ha usato  qualche termine nuovo per te, che non potevi aver sentito prima: ipotonia, ipertonia, disprassia, ritardo, deficit dell’attenzione, ecc. Ti sono stati consigliati degli esami da effettuare presso una struttura ospedaliera per un approfondimento, per una diagnosi. Hai iniziato a fare tante domande, ma non hai avuto le risposte che desideravi. Il tuo bambino non ha mostrato tutte le cose belle che fa a casa e per questo ti sei rammaricata e hai provato a interagire con lui per ottenere un gesto, una parola, una data prestazione.
La prima visita serve solo ad orientare, a iniziare a conoscere il bambino, ad aiutarlo a conoscere un nuovo ambiente.
Sei uscita da quella stanza preoccupata, confusa, arrabbiata, speranzosa. E con tante domande inespresse. Ma c’è tempo. Ora il prossimo passo è capire cosa fare, dove andare. Hai bisogno di fare silenzio, di sfogarti, di confidarti con qualcuno.


Incontriamoci

Siamo abituati a descrivere e a valutare lo sviluppo del bambino piccolo attraverso le sue “conquiste motorie” o addirittura attraverso i suoi riflessi: tiene la testa dritta, ora sta seduto, fra poco impara a gattonare, non ha le reazioni di equilibrio, si mette in piedi con l'appoggio, finalmente cammina.

Per questo motivo quando un bambino piccolo ha un ritardo possiamo focalizzare la nostra attenzione sui movimenti e sugli aspetti motori dello sviluppo del bambino. Magari ci possiamo trovare a stimolare un dato movimento o un passaggio posturale nella speranza che venga acquisito, oppure possiamo addirittura muovere direttamente noi gli arti del bambino.

Ma in realtà in cosa consiste realmente il nostro intervento?

Se ci riflettiamo qualunque movimento del bambino è un “incontro” con qualcuno, con parti di se o con qualcosa. In questo incontro non c'è solo il bambino che si muove, ma c'è anche l'oggetto toccato o la persona che è toccata, c'è insomma un incontro. Quest'incontro è un'esperienza unica e sempre diversa, che può avvenire grazie a una spinta innata nel bambino e grazie alla nostra presenza. 
Il “nostro compito” è “semplicemente” quello di esserci, di essere presenti nell'incontro. Non c'è il controllo del capo, non c'è lo stare seduti, ecc, c'è sempre un incontro che avviene in situazioni diverse o in posizioni diverse.

L'incontro non è qualcosa che fa parte solo del bambino, non è un'esperienza che può fare da solo. Per questo, non stimoliamo il controllo dei movimenti, ma ci siamo perché il bambino possa sperimentare nuove forme di incontro con noi e con il mondo, attraverso i sensi e i movimenti.
Il movimento non è lo strumento che mi permette di fare una data esperienza, ma è esso stesso parte dell'esperienza dell'incontro.
Il bambino vuole toccare il giocattolo, poi dopo che lo ha afferrato lo lancia verso la mamma e guarda la sua reazione: non parliamo di movimenti come aprire e chiudere la mano, ma di esperienza di incontri ripetuti.

Guardare al bambino e al suo sviluppo in questi termini mi permette di guardarlo in modo diverso, di usare un linguaggio diverso o di avere anche un approccio diverso.

L'obiettivo del nostro intervento non è di tipo motorio, l'obbiettivo è “incontrarsi”, “esserci”.








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