Il bambino ancora non ...

Di un bambino di 8 mesi non diciamo “ancora non cammina”, perché un bambino a 8 mesi non può aver acquisto tale abilità.

Di un bambino di 1 anno non diciamo “ancora non parla”, perché semplicemente “si sta occupando d'altro”, altrettanto significativo, come ad esempio comunicare.

Di un bambino che non formula le frasi non diciamo “ancora non racconta storie”.

Per i bambini che hanno uno sviluppo regolare “tutto va bene”, non pensiamo affatto che il bambino debba anticipare le tappe, come camminare a 8 mesi o parlare a 1 anno o raccontare prima di produrre le frasi.

Ma quando il bambino ha qualche difficoltà, ecco che spunta la parola “ancora”: ancora non fa questo, ancora non cammina, ancora non parla, ecc.

La parola “ancora” è intrisa di giudizi, confronti rispetto alla “norma”, confronti rispetto agli altri bambini. La parola “ancora” lascia l'”amaro in bocca”, ci fa arrabbiare, ci delude, ci fa vedere il bambino con occhi diversi.

Il bambino è così e non può essere diverso. “Il bambino è così” non significa che non cambia, il cambiamento fa parte di lui.
Possiamo descrivere il bambino e i suoi comportamenti senza fare alcun confronto e senza emettere giudizi su come è rispetto a come dovrebbe essere.
Questo non significa rassegnazione, ma comprensione e accettazione della realtà.

Comprendere la realtà significa non pretendere che un bimbo di 8 mesi cammini e corri.

Comprendere la realtà ci fa capire cosa fare. Comprendere il bambino ci fa apprezzare ciò che fa. 

Comprendere il bambino ci fa lottare perché il bambino sia rispettato e accettato per ciò che è.


Il genitore sa cosa fare o lo saprà, agisce e agirà quando è pronto. E anche nel suo caso non occorre usare la parola ”ancora”.       

Due tentazioni, di noi operatori della riabilitazione.

Per conoscere i bambini piccoli, le loro caratteristiche, il livello di sviluppo, noi operatori della riabilitazione abbiamo inizialmente una sola cosa da fare: giocare con loro. Attraverso il gioco libero, soprattutto se proponiamo i loro giochi preferiti,  abbiamo la possibilità di sentire il loro linguaggio, capire cosa comprendono, cosa conoscono, vedere se imitano gesti o azioni con gli oggetti, se partecipano al gioco simbolico, come coordinano i movimenti, come si relazionano. Ciascun aspetto può essere indubbiamente approfondito in altri momenti, magari con dei test. Ma fin dall’inizio è possibile avere un’idea del profilo del bambino, cioè capire in quali aree dello sviluppo (ad esempio il linguaggio o la motricità fine o il disegno, ecc.) ha difficoltà e in quali invece le sue abilità sono adeguate. Se riteniamo che è necessario un intervento riabilitativo occorre proporlo e spiegarlo alla famiglia.

Inizia in questo modo un percorso.

I genitori vengono coinvolti perché sono loro i protagonisti, sono loro che contribuiscono in modo sensibile alla crescita e allo sviluppo del loro bambino. Ognuno lo fa a modo suo, né meglio, né peggio di altri. Ognuno trasmette ciò che sente, ciò che fa parte del suo modo di essere.

A volte, noi operatori, siamo presi dalla facile tentazione di esprimere dei giudizi sui comportamenti dei genitori, pensando di conoscere tutta la realtà o di saper ciò che è giusto o sbagliato. Pensando di dover o poter “correggere” qualcosa.
Non c’è da correggere niente, non c’è niente di sbagliato, né di corretto.
Tutto va come può e come deve andare.

C’è da prendere atto della realtà e accettarla così com'è, se vogliamo che anche gli altri la accettino.

Altra tentazione possibile di noi operatori è quella di pensare di poter focalizzare il nostro intervento, solo su singole aree dello sviluppo, come se il loro funzionamento è a se stante. Ciascuna abilità nel bambino non “agisce”, per così dire, mai da sola, senza cioè l’intervento di tutte le altre.
Non esistono moduli separati nel nostro cervello, dove inseriamo dati che poi vengono utilizzati al bisogno. In ogni compito agiamo con il coinvolgimento di tutto il corpo e di tutto il cervello,  e le singole abilità agiscono sempre insieme alle altre. 

Non esiste, cioè, il compito che richiede solo l'azione della nostra attenzione o della memoria o del linguaggio o della motricità fine. 

Siamo tutti d'accordo...?! 







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