Il progetto condiviso

La bambina ha 7 anni e frequenta il secondo anno di scuola elementare. Fa controlli periodici presso una Struttura lontana da dove vive. Poi è seguita presso un Centro di Riabilitazione dove esegue periodicamente delle visite per stabilire in equipe il programma e gli obiettivi del trattamento ed effettua due volte a settimana la psicomotricità e due volte la logopedia. A scuola frequenta con un’insegnante di sostegno. Infine fa logopedia privatamente due volte a settimana. La bambina è tanto stimolata e lentamente sta facendo dei progressi. Riesce a collaborare con tutte le figure che la seguono. Ma attraverso una semplice analisi ho capito che l’approccio con la bambina, tra le varie figure, è decisamente poco uniforme. A scuola hanno provato con la “lettura globale”, invece una logopedista sta provando ad avviare l’approccio alla lettura di tipo fono sillabico. La psicomotricista fa colorare, l’insegnante fa copiare le parole. Ho fatto solo degli esempi, ne potremmo fare tanti altri. Non ho certezze, ma se ci mettiamo nei panni di questa bambina, capiamo che non le stiamo rendendo il compito semplice. Glielo stiamo complicando. La bambina deve adattarsi ai nostri diversi modi di insegnare, che avranno tanti punti di contatto, ma su altri punti chiave no. Qui non si tratta necessariamente di stabilire che il mio metodo è migliore di un altro. Questa è una cosa di buon senso, la bambina ha difficoltà a seguire il programma scolastico, se poi gli proponiamo approcci diversi rischiamo anche di ritardare l’acquisizione degli obiettivi. Immaginate di dover imparare a guidare un autobus, vi è richiesta una buona dose di impegno e di attenzione. Ma avete due istruttori che vi fanno utilizzare metodi diversi. Voi ancora non avete imparato a guidare, quindi rischiate di avere tanta confusione. Per questi motivi, nei casi di bambini con difficoltà è opportuno incontrarsi, scuola, famiglia, centro di riabilitazione e terapisti privati..., per condividere i rispetti programmi di lavoro, il proprio percorso, i propri obiettivi e le modalità di insegnamento e cercare una linea comune. Ognuno con le proprie mansioni e specificità. Non c’è da imporre niente a nessuno. È veramente possibile coordinarsi e marciare uniti, nell’interesse di tutti e del bambino: a scuola hanno introdotto il grafema “p”, in logopedia la logopedista aiuta la bambina a discriminare il suono “p” e a cercare le parole che iniziano con quel suono.
La vita ce la complichiamo a volte da soli, non complichiamola ai bambini. Perché la vita è semplice, è bella, se c’è qualcosa che possiamo fare facciamola, adattandola con creatività ai nostri contesti.












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