Gli effetti dei video game violenti.

E' chiaro ed evidente a tutti che la nostra personalità non è la semplice somma delle nostre esperienze, delle nostre relazioni e condizioni. Pertanto non si può dire che basta un video game per spiegare i comportamenti “violenti” dei bambini. Tuttavia è innegabile e alcuni studi lo riportano che la violenza osservata in televisione e nei giochi al computer induce nei bambini “comportamenti aggressivi”, almeno immediatamente dopo aver smesso di “giocare” e osservare certe scene. I bambini che guardano video violenti si comportano successivamente in modo aggressivo verso le cose e verso le persone. Ciò non basta, ripeto, a dire che il bambino diventerà un “violento”, per la premessa che ho fatto. Perché il bambino vive in un contesto dove il dialogo prevale sulla prevaricazione, e il modello di relazione che va introiettando è per così dire più forte del “video game”. Non viene introiettato un modello in cui il messaggio è “con la violenza puoi ottenere quello che vuoi”. Per spiegare certi comportamenti osservati dopo la visione di scene violente, entrano in gioco ancora una volta i “neuroni specchio”. I neuroni specchio sono implicati nell'imitazione, ma anche nella tendenza a imitare, in modo non del tutto consapevole. Voglio dire che i neuroni specchio ci portano a “simulare” quanto osservato e chiaramente lo facciamo anche in modo inconsapevole. Sicuramente esiste per “colpa” dei neuroni specchio una correlazione temporale tra quanto osserviamo e quanto riproduciamo nei nostri comportamenti, nel bene e nel male.
Ma ciò non ci permette di concludere che esiste anche un rapporto causale tra video game e comportamenti violenti. Tutte l'esperienze plasmano

"I NO non servono"

Quando ci sentiamo dire di NO, anche se capiamo che è fatto per il nostro bene, ci infastidiamo, ci arrabbiamo, e ci possiamo mettere in un atteggiamento di resistenza e di contrasto. Questo vale ancor di più con i bambini che seguiamo durante la terapia riabilitativa. Il NO è poco tollerato e causa resistenza, grida e atteggiamenti di rifiuto. Il bambino non è in grado di tollerare la frustrazione e non ha ben chiaro il perché del NO anche se lo abbiamo spiegato e lo abbiamo preparato per tempo.
Ma a volte può risultare utile per ottenere un “maggiore controllo” sul bambino cambiare approccio e passare dal NO, dal “questo non si fa” e basta, al messaggio positivo, alle istruzioni sulle azioni da seguire, piuttosto che su cosa non si deve fare. Se poi aggiungiamo un atteggiamento sereno e di accettazione, ecco che otteniamo quello che volevamo, con più facilità. “Non buttare le cose a terra” diventa “raccogliamo le cose da terra”, “siediti”

"Prevenire la dislessia".

Alcuni bambini durante gli anni di scuola materna, possono presentare dei “difetti di pronuncia” nel linguaggio, in particolare sostituiscono i suoni all'interno delle parole, per cui la parola cavallo diventa “tavallo” o possono omettere alcuni suoni per cui la parola semaforo diventa “foro”. Alcuni di questi bambini migliorano spontaneamente, cioè anche se non vengono seguiti da una logopedista. Ma questi stessi bambini, che prima parlavano male e ora parlano bene, possono mantenere ancora qualche difficoltà di “programmazione fonologica”, per cui non riescono a pronunciare bene, semplicemente su ripetizione, parole lunghe, nuove, non solo “supefragilistica.....o precipitevolissime......, ma anche talismano, tecnocrate, ecc., ecc.. Anche in questi casi i bambini possono avere difficoltà con l'apprendimento della lettura, perché sia

Insegnami e io imparerò.

I bambini con ritardo dello sviluppo, che fanno la riabilitazione, grazie agli stimoli che ricevono e alle esperienze che fanno a casa, a scuola, nel centro di riabilitazione, migliorano le loro abilità: il linguaggio, l’attenzione, la comprensione, la motricità. Ma alcuni bambini apprendono solo a casa o solo al centro, o solo a scuola e poi non riescono a generalizzare questi apprendimenti. Ad esempio se il bambino ha imparato  il nome dei vestiti o dei cibi, poi non utilizza queste nuove parole a casa quando viene vestito e quando mangia. In alcuni casi occorre semplicemente del tempo. In altri casi occorre riprodurre in tutti i posti in cui il bambino vive quelle situazioni che favoriscono per quel bambino l’apprendimento: concedere il tempo e fornire l’aiuto necessario, suscitare l’interesse e stimolare la motivazione. A volte le mamme e i papà per mille motivi non riescono ancora con il loro bambino a fare emergere le sue potenzialità, e quindi a ottenere anche a casa gli stessi apprendimenti ottenuti al Centro. In questi casi si possono aiutare Mamma e Papà: aiutandoli a conoscere ancora meglio il loro bambino, incoraggiandoli a confrontarsi per superare eventuali paure e infine facendo le cose insieme a loro, accanto. Spesso non bastano gli incoraggiamenti e le spiegazioni su come stimolare il bambino, ma occorre sedersi e fare insieme, ora io, ora tu. Riporto la testimonianza di una Mamma: "non esistono cose che non posso fare, aiutami e guidami concretamente, passo dopo passo. Imparerò. Tu studi e lavori da tanti anni, io sto iniziando adesso a capire. Ce la metterò tutta per imparare presto"

Cosa chiede la mamma del bimbo disabile.

La mamma chiede innanzitutto una cosa e cioè di essere capita, nella propria sofferenza silenziosa, fatta di sacrifici e di rinunce. Lei fa sempre il meglio, anche quando non ascolta e non segue immediatamente le nostre indicazioni. Non è semplice modificare le nostre abitudini, le convinzioni, le idee, anche di fronte all’evidenza. Fa parte di noi. Per esempio siamo consapevoli di dover fare una determinata dieta, ma non riusciamo ad essere all’altezza del compito, troviamo mille scuse per rimandare o per abbandonare. Per questo non possiamo pretendere da parte dei genitori un’immediata adesione a tutto ciò che diciamo. Se vogliamo aiutare le mamme ad ascoltarci e a seguirci,

Impariamo a conoscere il nostro bambino disabile.

Molti bambini che presentano un ritardo dello sviluppo cognitivo, motorio o del linguaggio intraprendono insieme alla loro famiglia un percorso riabilitativo. E per questo frequentano un Centro di riabilitazione, dove si rapportano con varie figure tra cui in particolare il terapista. La prima cosa che viene fatta al Centro di riabilitazione è conoscere il bambino attraverso degli incontri in cui si gioca insieme, si dialoga, si cerca di entrare in sintonia. E poi si organizzano le attività per il bambino e gli si dedica il nostro tempo. Il bambino gradualmente impara a giocare, a comunicare, a rispettare le regole, ad ampliare le sue conoscenze, a progredire nel suo sviluppo motorio, compatibilmente sempre con le sue capacità. Lo stesso bambino torna a casa  e trova un ambiente in cui tutti gli vogliono un gran bene, ma non hanno ancora organizzato le attività per lui.
Lui qui si deve adattare, deve fare le stesse cose che fanno gli altri, come le fanno gli altri, ma in questo momento semplicemente non può riuscirci. Fino a quando non conosciamo il nostro bambino per quello che è, forse non faremo quelle cose, quelle attività che lo possano aiutare e fare stare meglio.
Cosa ci permette di conoscere il bambino?. Sicuramente le conoscenze e l'esperienza ci permettono di "vedere oltre" e per questo ci affidiamo a chi ne sa più di noi: medici, terapisti, psicologi. Ognuno di noi infatti nel proprio lavoro finisce per diventare un esperto che intuisce e capisce certe cose prima di tanti altri. E poi,  e questa è la cosa più difficile, occorre conoscere se stessi. Per capire se quello che chiediamo al nostro bambino non è in realtà qualcosa di cui abbiamo bisogno noi e non lui. Per esempio, il bambino deve assolutamente camminare e parlare come gli altri perché solo in questo modo io papà o io mamma mi sento confermata nel mio ruolo, gratificata, realizzata, serena, anche a costo di sottoporre il bambino a "inutili terapie", che poi non portano al risultato tanto sperato.

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